4 Istituti del territorio, 9 classi e 160 studenti coinvolti nell’anno scolastico 2021/2022: sono questi i numeri dell’ultima tappa di Pechéte, che ha coinvolto gli studenti in un percorso che si è articolato lungo tutto il corso dell’anno scolastico con educational tour a cura di esperti e guide turistiche, momenti di approfondimento in aula con professionisti del mondo della comunicazione e del turismo, e laboratori, che li ha resi protagonisti nell’ideazione, progettazione e realizzazione di una visual novel – avventura testuale illustrata – che promuove in maniera originale e interattiva la storia e le risorse turistiche del territorio della Bassa Padovana e dei Colli Euganei.
Pechéte ha, quindi, fornito agli studenti sia una base teorica – formandoli all’uso consapevole del medium videoludico e favorendone un’interpretazione e un uso in chiave culturale/turistica – sia delle abilità concrete grazie alle quali i ragazzi hanno individuato e approfondito i beni e le storie scelti come soggetti delle avventure testuali illustrate, hanno scritto i dialoghi e i testi, hanno ideato e realizzato tutti i disegni e, infine, hanno concretamente programmato e costruito – grazie all’utilizzo di un programma Open Source – la visual novel.
“La Rotta della Canapa”, è un itinerario turistico che ripercorre la storia e i luoghi del territorio a sud di Padova più importanti legati alla produzione e alla lavorazione di quella che in passato è stata una delle più importanti economie del territorio: la canapa. Il percorso si snoda da Megliadino San Vitale a Due Carrare passando per Montagnana Ospedaletto Euganeo, Este, Monselice e Battaglia Terme, propone una visita ai luoghi che sono stati interessati da questa produzione nei secoli passati, promuovendo un turismo sostenibile, a piedi e in bicicletta, e punta a ricreare una cultura della canapa con un approccio storico e antropologico, che fonda tradizioni e lavori del passato con gli attuali sviluppi dell’impiego di questo materiale.
Pechéte è il percorso dedicato alle risorse turistiche rurali che ha coinvolto alunni delle scuole secondarie di primo grado di Istituto Comprensivo di Villa Estense (classe seconda A Scuola di Villa Estense “G.Mazzini”, classi seconde A e B Scuola di Sant’Elena “D. Pegoraro” e classi seconde A e B Scuola di Sant’Urbano), Istituto Comprensivo Comuni della Sculdascia (classe prima A Scuola di Casale di Scodosia “ Baldassarre Faccioli” e classe seconda A Scuola di Merlara “Dante Alighieri”), Istituto Comprensivo Statale “Don Paolo Galliero” (classi prime M e L Scuola di Bagnoli di Sopra “Vittorio Alfieri”).
La prima fase del progetto si è sviluppata in un ciclo di incontri in aula durante i quali i ragazzi sono stati introdotti alla conoscenza del territorio facendo una mappatura dei beni storici, architettonici e naturalistici dell’area, finalizzata a individuare i beni che sono stati poi oggetto di studio e di visita.
Una seconda fase ha portato, invece, i ragazzi “sul campo” per una serie di visite guidate e sopralluoghi – realizzati con guide ed esperti del settore – finalizzati alla conoscenza diretta e alla formazione degli alunni affinché diventassero “guide esperte” del proprio territorio.
Uno degli obiettivi del progetto è stato quello di realizzare delle video-guide – che potete vedere in questo sito – una per ogni bene mappato dal progetto: delle pillole video – realizzate grazie al coinvolgimento di un video maker professionista – nelle quali i ragazzi accompagnano i loro coetanei, le famiglie e il pubblico in generale nella visita guidata ai luoghi mappati dal progetto.
Villa Correr è stata costruita verso la fine del XVII secolo come dimora estiva della famiglia Correr, una nobile famiglia di origini veneziane che possedeva cospicue proprietà in località Altaura, antico centro del paese. Stalle, scuderie, granai e l’antica serra per la bachicultura, testimoniano il ruolo della Villa e degli annessi come centro economico propulsore della Bassa padovana. La monumentale villa è emblema significativo dello splendore e potenza veneziana nel territorio: costruita in parte con materiali recuperati dalla precedente abitazione rustica del 1500, ad oggi mantiene ancora immutato il suo giardino, le decorazioni su intonaco in terra naturale, le finestre a medaglioni di Murano e le decorazioni ad affresco dell’appartamento di riguardo
Video guida realizzata dai ragazzi dell’Istituto Comprensivo Comuni della Sculdascia (Padova) – Scuola secondaria di I grado di Casale di Scodosia (Padova) “ BALDASSARRE FACCIOLI” – Classe coinvolta nel progetto: prima A.
L’impianto denominato “Idrovora Vampadore”, ubicato nel comune di Megliadino San Vitale (Pd), fu costruito nel 1880 circa. L’idrovora sorge nel punto più basso del “Bacino Vampadore”, un territorio di bonifica che si estende su una superfice di circa 7.145 ettari e comprende i Comuni di Montagnana, Casale di Scodosia, Urbana, Merlara, Megliadino San Vitale e Megliadino San Fidenzio (ora Borgo Veneto). L’impianto ha lo scopo di raccogliere e convogliare le acque dei molti corsi d’acqua che percorrono il bacino per attuare e mantenere la bonifica del territorio.
Video guida realizzata dai ragazzi Istituto Comprensivo Comuni della Sculdascia (Padova) – Scuola secondaria di I grado di Merlara (Padova)“ Dante Alighieri” – Classe seconda A.
Il sentiero n°11 sul Monte Cinto rappresenta una delle più interessanti passeggiate ad anello possibili all’interno del gruppo dei Colli Euganei.
Il suo circuito tocca punti di interesse floro-faunistico e storico-economico di notevole spessore e importanza nella vita e nella storia del territorio locale dei Colli Euganei come l’oasi di recupero della LIPU, il Museo Geopaleontologico di Cava Bomba, la cava di riolite colonnare, i ruderi del castello medievale e il cosiddetto “Buso dei Briganti”.
Se il complesso di Cava Bomba ci propone un modello locale di museo diffuso, dove un sito di archeologia industriale adeguatamente restaurato incontra e ospita le collezioni geologiche e paleontologiche creando un unicum scientifico, divenendo un utilissimo strumento per la didattica scolastica e il “Buso dei Briganti” ci rimanda alle storie legate alle vicende risorgimentali, l’anfiteatro creato dal lavoro dell’uomo nella cava di riolite ci rende invece consapevoli del difficile passato di questi splendidi luoghi che adesso bisogna imparare a proteggere.
Video guida realizzata dai ragazzi dell’ Istituto Comprensivo Villa Estense (Padova) – Scuola Secondaria di I grado “D. Pegoraro” di Sant’Elena (Padova) – Classi coinvolte nel progetto: seconda A e seconda B.
Sulla sommità del Monte Gemola, immerso in una splendida e suggestiva cornice naturalistica, all’interno del Parco Regionale dei Colli Euganei, si trova il complesso di Villa Beatrice d’Este.
Antico monastero benedettino, scelto come luogo di contemplazione e preghiera dalla nobile Beatrice I, leggiadra e splendida figlia dell’antica casata estense, fu, fino al 1578, anno in cui le monache si trasferirono al monastero di Santa Sofia, a Padova, un importante e ricco convento capace di catalizzare intorno a sé la vita e le attività degli abitanti dei Colli. Acquistato alla fine del ‘600 da un ricco mercante veneziano, fu trasformato in una villa privata estiva come la moda del tempo ormai prevedeva, riorganizzando spazi interni ed esterni fino a darne l’aspetto odierno.
Attualmente di proprietà della Provincia di Padova che, assieme all’IRVV e a contributi di enti privati, ne ha curato il restauro, la Villa ospita anche in alcune stanze, le collezioni floro-faunistiche del Museo Naturalistico didattico dei Colli Euganei.
Video guida realizzata dai ragazzi dell’ Istituto Comprensivo Villa Estense (Padova) – Scuola Secondaria di I grado “D. Pegoraro” di Sant’Elena (Padova) – Classi coinvolte nel progetto: seconda A e seconda B.
Villa Pisani-Scalabrin a Vescovana rappresenta un perfetto modello di villa veneta di stile palladiano. Fatta costruire nel ‘500 su indicazioni del cardinale Francesco Pisani, della ricca e potente famiglia veneziana di Santo Stefano, si inserisce perfettamente nel territorio come esempio tipico di villa agricola e padronale dei tempi d’oro delle ville della Serenissima Repubblica del leone.
Nell’800 lega il suo nome alla bellissima e affascinante Evelina, moglie dell’ultimo proprietario Almoró Pisani, che la trasforma e la adatta ai suoi gusti e alle sue esigenze creando in particolare un nuovo e favoloso giardino. Un giardino che però non è più solo da osservare ma da vivere, un giardino da toccare e riscoprire. Un giardino in cui Evelina cura i suoi “bambini”, ossia gli amatissimi tulipani, capace di raccontare delle molte anime della sua signora che, intelligente e cosmopolita, riesce così a realizzare un luogo incantevole e adatto a valorizzare le diverse meraviglie dei mondi che l’hanno plasmata e formata.
Video guida realizzata dai ragazzi dell’Istituto Comprensivo Villa Estense (Padova) – Scuola secondaria di I grado di Villa Estense (Padova)” G.Mazzini”, classe coinvolta nel progetto: seconda A.
La Carta del Retratto del Gorzon è, per dimensioni, una delle maggiori rappresentazioni cartografiche esistenti (7,950 m x 3,385 m). Conservata ed esposta presso il Museo Etnografico di Stanghella (Pd), essa riporta la data del 1633, ma, secondo gli studiosi la realtà territoriale rappresentata risale a non oltre i primi anni del 1500. Hercole Peretti, perito firmatario dell’opera, la realizzò su commissione della Repubblica di Venezia per progettare l’imponente opera di bonifica del territorio della Bassa Padovana svoltasi nella seconda metà del 1500.
Video guida realizzata dai ragazzi dell’ Istituto Comprensivo Villa Estense (Padova) – Scuola Secondaria di I grado di Sant’Urbano ( Padova) – Classe coinvolte nel progetto: seconda A e seconda B.
Nota dai documenti sin dal X secolo, la chiesa seicentesca di San Michele deve il suo attuale aspetto all’iniziativa dei conti Widmann e conserva pure i resti del modesto edificio che la precedeva. E’ infatti possibile visitare parte della chiesa del XV secolo, oggi usata come cappella retrostante l’altare maggiore ( realizzato questo dallo scultore Antonio Bonazza). In questo ambiente raccolto si ritrovano affreschi di scuola mantegnesca dedicati alla Vergine a cui si sovrappongono lacerti di affreschi dal Cinquecento. Nell’aula unica della grande chiesa invece dipinti dei secc. XVI e XVII tra cui la pala dell’altare maggiore di Antonio Zanchi.
Video guida realizzata dai ragazzi dell’Istituto Comprensivo Statale “Don Paolo Galliero” – scuola secondaria di I grado di Bagnoli di Sopra (Padova) “Vittorio Alfieri” – classi coinvolte nel progetto: prima M e prima L.
Il teatro comunale nasce in epoca fascista con grande sforzo e partecipazione anche della popolazione locale che sin da subito lo accoglie quale luogo simbolo della comunità. Il paese deve infatti parte della sua notorietà alle villeggiature del commediografo veneziano Goldoni, ospite presso villa Widmann, e i bagnolesi stessi hanno sempre conservato ed alimentato una forte vocazione per il teatro e la musica. La facciata richiama una parte della facciata della villa e la sala contiene fino a trecento spettatori.
Video guida realizzata dai ragazzi dell’Istituto Comprensivo Statale “Don Paolo Galliero” – scuola secondaria di I grado di Bagnoli di Sopra (Padova) “Vittorio Alfieri” – classi coinvolte nel progetto: prima M e prima L.
Il Palazzo, che si trova a Villa Estense paese posto a metà strada tra Este e il fiume Adige, fu eretto nel 1597 da Ercole San Bonifacio sopra un precedente castelletto medioevale. La facciata principale, infatti, non è in asse ma l’angolo nord arretra di 50 cm, come spesso accadeva quando la nuova costruzione si elevava sopra un edificio preesistente. Esso presenta caratteristiche particolari che differiscono rispetto alla tendenza generale dell’architettura della Villa Veneta nel XVI secolo. L’edificio poggia su uno zoccolo e si eleva per tre piani, le cui facciate sono scandite da due ordini di lesene con capitelli tuscanico-dorici, più la soffitta, caratterizzata da finestre ovali, le venete “bocarole”. Le finestre del pianoterra seminterrato, inserite in una fascia a finto bugnato, sono rientranti, quadrate e chiuse da inferriate. Le colonnine dei poggioli risalgono al XVI secolo mentre i pilastri e l’impianto della scala principale sono del secolo successivo. I davanzali, le statue, i poggioli, le scale, gli angoli del cornicione e i mutuli a gocce sopra le paraste del secondo piano sono tutti in pietra di Costozza, più precisamente di S.Germano. All’interno, le stanze e la lunga sala rivolta al cortile, delimitato dalle ali laterali, presentano soffitti con volte a botte o a crociera; in altri ambienti è invece presente una controsoffittatura a graticci voluta da Elia Polcenigo e Fanna Sanbonifacio secondo il gusto dell’epoca. I pavimenti sono in terrazzo veneziano, a impasto di polvere di mattoni con tracce dell’antico pastellone o in tavelline disposte a spina di pesce.
Anche gli stucchi in marmorino di stile neoclassico del salone centrale e gli affreschi delle stanze del piano nobile con disegni di tappezzerie, anfore e vasi, piccoli pavoni e fiori, soffitti a finti cassettoni realizzati da G.C. Bevilacqua (1775 – 1849) e dalla sua bottega, risalgono all’intervento voluto da Elia Polcenigo e Fanna Sanbonifacio. Al centro del cortile si trova la vera del pozzo scavata in un unico blocco di marmo rosso di Verona. Nel complesso del Palazzo sono comprese la barchessa, la “caneva” con il brolo, la settecentesca “sedrara” in parte caduta e la cappella–oratorio con cripta in stile manierista dedicata a San Giuseppe. Un disegno del 1788 conferma che la struttura non ha subito variazioni nei secoli. Dall’ultimo discendente del canonico Ercole, Elia Polcenigo e Fanna Sambonifacio, l’intero complesso è passato in eredità nel 1838 alla seconda moglie Elisabetta Maraldo e, infine, al di lei nipote Pietro Ardit. Vincolato dal 1927 come monumento nazionale, il palazzo è stato poi catalogato tra le Ville Venete e oggi è la residenza di Maria Cristina Rossin Ardit.
Il Palazzo è visitabile su appuntamento, tel. 0429 91125 – e-mail cristina.rossin@gmail.comIl Museo dei Villaggi Scomparsi – che ha sede a Palazzo Valentinelli nel cuore di Villa Estense – è dedicato alla documentazione di tutti quei villaggi della Bassa Padovana che, per varie vicissitudini storiche, si sono spopolati arrivando a essere abbandonati definitivamente, in particolare nel XIV e XV secolo, senza più ripopolarsi. Lo schema espositivo del Museo – che può ritenersi alquanto originale nel suo genere – è ricercato e offre un quadro molto particolareggiato del vissuto quotidiano delle nostre popolazioni nel Medioevo. Gli antichi abitati presentati nel Museo, che trovavano la loro sussistenza nella caccia, nella pesca e nel pascolo nelle valli e nelle paludi, erano spesso indicati con il nome del Santo al quale era dedicata la chiesa e il cui titolo passò poi al paese vicino sviluppatosi maggiormente, come si verificò per Santa Colomba di Ancarano che divenne Villa Estense. In alcuni casi è stato possibile ricostruire l’agglomerato di capanne – tutte di legno con tetto di paglia assiepate tra loro e poste in un luogo elevato, circondato da un fossato, con terrapieno, palizzata e ponte levatoio – che costituiva questi primi insediamenti. Tra la documentazione presente nel Museo vi sono foto aeree, oggetti di uso casalingo, vasellame, frammenti di stoviglie in terracotta o in pietra ollare rinvenuti tra i resti dei focolari, frammenti ceramici, laterizi del periodo romano, perle di pasta vitrea, spilloni facenti parte di corredi muliebri, frammenti di maiolica.
Il Museo è visitabile sabato e domenica, da marzo a settembre dalle 15.00 alle 18.00 e da ottobre a febbraio dalle 14.30 alle 17.30. Tutti gli altri giorni su prenotazione.
Il biotopo Bacino Valgrande – Lavacci occupa l’area golenale compresa tra i canali Masina e Gorzone in località “Grompa” tra i comuni di Villa Estense, Sant’Urbano e Granze. Si tratta di una lingua di terra e acqua di 60 ha circa, lunga circa 3,8 km e larga 150-200 m, compresa tra i corsi d’acqua del Gorzone e del Masina.
L’aspetto attuale è il risultato di lavori di allargamento e risistemazione dell’alveo del canale Masina realizzati per creare un bacino di espansione durante le piene del Masina-Scolo di Lozzo e del Fratta-Gorzone, frequenti nelle stagioni delle piogge e del disgelo. Si presenta come un piano caratterizzato, sul lato occidentale e soprattutto su quello orientale, da una vegetazione spontanea tipica degli ambienti umidi e da alcune pozze acquitrinose perenni. Il suolo dell’area golenale, costituito essenzialmente da materiali argillosi e sabbiosi di origine fluviale, è tipico della bassa pianura alluvionale solcata da corsi d’acqua a meandri e caratteristico di tutta quest’area della Bassa Padovana.
Nonostante l’estensione non sia considerevole come un tempo, il Bosco dei Lavacci riveste ancora oggi una notevole importanza in quanto ultimo testimone, per caratteristiche morfologiche e naturalistiche, delle antiche paludi e valli che caratterizzavano la Bassa Padovana prima della secolare azione di bonifica e sistemazione operata dall’uomo per la conversione di questi territori a uso agricolo.
Accesso: dall’argine del canale Masina, accessibile dal ponte Zane in località Carmignano di S. Urbano e dalla carrareccia che fiancheggia Villa Paradiso in località Grompa di Villa Estense
La Villa, senz’altro la più importante di Sant’Elena, edificata intorno a una costruzione fortificata medievale, è caratterizzata dalle particolari mura merlate ghibelline che conferiscono all’edificio principale l’aspetto di villa-castello. Ristrutturato radicalmente una prima volta nel XVII sec., il vasto complesso della Villa Miari De’ Cumani – che comprende la casa domenicale, la serra, l’eremitaggio, il ninfeo, la peschiera e il parco – assume definitivamente nel corso del 1800 per volontà del conte Felice Miari le caratteristiche tipiche di un luogo di villeggiatura. Nel 1855 l’ingegnere Giuseppe Osvaldo Torquato Paoletti progetta il nuovo parco all’inglese, mentre successivamente il figlio del conte Felice Miari, Giacomo Miari De’ Cumani, procede al rinnovo dell’edificio residenziale chiamando il pittore Achille Casanova a realizzare le decorazioni che ornano l’interno della Villa.
L’Oratorio, dedicato ai Santi Antonio e Sabino e consacrato nel 1771, ospita le tombe di alcuni componenti della famiglia e di due amate domestiche.
Nel Salone – in cui Achille Casanova ripropone un fastoso ambiente rinascimentale – le pareti si presentano come se fossero ricoperte, da metà altezza sino al soffitto, con un ricco drappeggio di broccato rosso e il pavimento è in terrazzo veneziano. Sulle vele del vasto soffitto è dipinto un pergolato di rose mentre, nelle lunette sottostanti, sono inseriti gli stemmi con i nomi delle donne entrate per matrimonio nella casata Miari De’ Cumani. Sulle pareti spiccano in successione i ritratti – dipinti e sculture – dei personaggi più significativi nella storia della famiglia. Un altro riferimento ai modelli rinascimentali scelti da Casanova, sono le cornici delle porte in pietra con inciso, a caratteri dorati, due motti che si ripetono con a lato gli stemmi delle famiglie Miari e Cumani.
La “Sala dei quadri” prende il nome dai dipinti più importanti della collezione De’ Cumani, conservati sino a oggi e qui esposti, opera di Jacopo Palma il Giovane. In senso orario da sinistra troviamo: “Maddalena Penitente”, “San Girolamo”, “San Giovanni Battista”, “San Francesco D’Assisi” e, sopra il camino, “Cristo a colloquio con Nicodemo”, dipinti intorno al primo decennio del ‘600. Continuando il percorso troviamo la “Sala dei disegni” dove si trova la grande mappa acquarellata realizzata nel 1668 per volontà di Egidio Cumano, che rappresenta gli edifici del complesso e i campi allora posseduti a Sant’Elena, il documento grafico più importante per ricostruire la storia della Villa. Sempre in questa sala si trova anche l’interessante serie di acquerelli realizzati dall’ingegnere Paoletti che restituiscono la ricchezza e la complessità del progetto ideato per il parco.
Aperto dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 19.30 contattando il Conte Francesco Scroffa tel. 0429 690021La presenza di una casa domenicale affiancata dalla barchessa a cinque arcate e perpendicolare alle vie del paese è attestata già all’inizio del ‘700. Nel corso dei secoli, a seguito delle mutate necessità agricole e del passaggio di proprietà dai Conti alla famiglia Miari, sono stati apportati numerosi cambiamenti alla struttura agricola originaria. La grande barchessa era formata da un edificio centrale – sottoposto a un attento restauro e oggi sede delle Associazioni del territorio – e da numerosi edifici minori. Un primo nucleo di edifici, tra questi quello del forno è ancora esistente e databile tra il 1828 e il 1842, era addossato alle mura di cinta sul lato est a ridosso del primo arco del portico. A questo si aggiunsero poi i ricoveri degli animali – è ancora oggi visibile la struttura che ospitava i porcili – mentre gli alloggi dei salariati vennero realizzati nell’ala opposta. Con l’incendio della porzione ovest, alla fine dell’800, andarono distrutti il fienile e la stalla originari; rimase invece fortunatamente indenne il colonnato esterno del portico, un imponente susseguirsi di 16 arcate a pieno centro su pilastri, che costituisce una vera rarità nella zona.
Il termine Barchessa si fa derivare dall’uso veneziano del ricovero delle barche in queste strutture, mentre, in questi territori, con il termine “barchi” si indicano i portici sotto i quali, a partire da ‘500, si faceva la cernita, il deposito e l’essiccamento del granoturco. Un tempo la Barchessa ospitava varie famiglie di contadini ed era gestita da un “Fittavolo”, detto anche fittuario, che la amministrava per conto del proprietario per tutto il tempo del contratto.
Aperto tutti i giorni, per informazioni Ufficio tecnico Comune di Sant’Elena tel. 0429.690080
Nel territorio di Sant’Elena sono presenti 15 capitelli – i più antichi risalgono al 1600 e 1700 – a testimonianza del profondo senso religioso caratteristico di queste zone. La tecnica costruttiva è in genere semplice, legata all’ingegnosità degli abitanti del luogo più che a schemi architettonici ben definiti e i materiali sono poveri.
Alcuni capitelli sono visibili passeggiando lungo le strade di Sant’Elena, altri sono inseriti in edicole poste accanto o nei pressi di case private
Villa Nani Loredan, situata lungo l’antico alveo del canale della Rottella, a circa un chilometro dall’Adige – una delle principali vie di trasporto fluviale interno di collegamento tra l’area atestina, l’area euganea e Padova – fu costruita dalla nobile famiglia veneziana dei Nani intorno alla metà del 1500. Dalle poche notizie giunte sino a noi, si sa che nel 1631 la Villa era terminata ed era di proprietà di un certo Bernardo Nani al quale si unirà come proprietario di un terzo dell’edificio un appartenente alla famiglia veneziana dei Loredan. L’edificio presenta una struttura esterna piuttosto semplice, a pianta quadrata e articolata su tre piani. Il piano nobile si contraddistingue per la bellezza degli affreschi – realizzati secondo la critica da Carletto Caliari, nato nel 1570 e figlio del celebre Paolo Caliari, detto il Veronese (1528-1588), uno degli interpreti più significativi della pittura veneziana del Cinquecento – che si susseguono nelle differenti sale con immagini ariose piene di serenità capaci di evocare la bellezza della natura e di introdurre il visitatore all’interno di visioni classiche mitologiche che si rifanno alla celebrazione di Venezia come regina del mare.
In particolare, il grande Salone del piano nobile è affrescato con immagini tratte dal mito di Europa – raffigurato in quattro grandi scene nelle quali ricorre il tema dell’acqua, richiamo indiretto alla potenza di Venezia – alcune divinità classiche, putti e allegorie delle quattro stagioni. Sempre nel Salone centrale occupano una posizione d’onore le due grandi figure di Atena e di Apollo: le due divinità sono dipinte di fronte alla porta d’ingresso e sembrano accogliere i visitatori. Alla campagna – e allo scorrere del tempo – alludono, invece, le raffigurazioni delle quattro stagioni poste in alto ai quattro lati del Salone. Tutte le scene dipinte nel Salone del piano nobile sono racchiuse entro arcate sorrette da pilastri con marmi policromi. Nella Sala delle Virtù, la Giustizia è una donna con una corona a raggi d’oro e con la spada alzata affiancata da due leoni – simbolo di San Marco – la Fortezza regge senza fatica una colonna spezzata, la Temperanza passa pazientemente l’acqua da una brocca all’altra, mentre la Prudenza si guarda alle spalle con uno specchio. La sala accanto è invece dedicata ai paesaggi. Infine, sul lato opposto, si trovano le due sale delle “grottesche” – un soggetto pittorico di decorazione parietale molto popolare a partire dal Cinquecento – con motivi vegetali su fondo chiaro in cui si inseriscono figure umane, centauri, leoni, mascheroni, vasi, insegne, putti e satiri, ma anche libellule, farfalle, conigli, insetti e animali tipici della campagna.
La Rotta Sabadina è un’importante opera di architettura idraulica costruita nel XVI secolo che fungeva da sistema di regimazione delle acque dell’Adige. Recentemente restaurato, il sostegno regolatore si presenta oggi come una massiccia struttura in laterizio a tre fornici e particolari in materiale lapideo.
Curiosita’
Uno dei personaggi più illustri di Sant’Urbano è Giuseppe Marchiori, il primo direttore della Banca d’Italia, figlio di Giacomo Marchiori sindaco di Sant’Urbano. Nato nel 1847 nei pressi della Rotta Sabadina – quando il Veneto faceva parte dell’Impero Austro-Ungarico – Giuseppe Marchiori fece studi classici e di matematica. A diciannove anni, scoppiata la guerra tra l’Italia e l’Impero, combatté con Garibaldi. Deputato tra il 1880 e il 1887, fu collaboratore di Sidney Sonnino, segretario generale del Ministero delle finanze, successivamente del Ministero dei Lavori pubblici, presso il quale dal 1888 assunse la carica di sottosegretario di Stato, incarico che ricoprì fino al marzo del 1889. Fu nominato governatore della Banca d’Italia nel febbraio nel 1894, carica che ricoprì per sette anni, fino alla morte. “La Rotta Sabadina è il nome di un piccolo gruppo di case accanto a una villa dei Morosini: una delle solite ville patrizie che i “nobilomeni” della Serenissima costruivano nei luoghi più remoti. Un po’ distaccata dalle case era la chiesetta della frazione, e, a un centinaio di metri, il palazzetto della Rotta, con le scuderie, i magazzini, i granai. E in quel palazzetto, innalzato sul fiume, davanti ai molini a ruote, ancorati vicino alla riva, in quel palazzetto, che guardava il porto fluviale, due secoli prima avevano approdato i miei vecchi, discesi dal Trentino sulle zattere di larici e abeti”. Così il critico Giuseppe Marchiori parla della Rotta Sabadina e del palazzetto dei suoi avi abbattuto insieme alla chiesa, al muro di cinta e ai molini per alzare gli argini. Quel che colpisce nello scritto è l’affetto con cui lo scrittore parla di Sant’Urbano e della casa sull’argine, di proprietà dei Marchiori e abitata da Giuseppe Pegoraro, dove il critico soleva trascorrere giorni e settimane per staccarsi dal ritmo convulso della quotidianità. Alla Rotta Santomaso dipinse, nell’ingresso della casa dei Pegoraro, un affresco che oggi sarebbe un’importante opera di arte moderna se non si fosse staccato a causa del deterioramento del muro su cui era stato dipinto. Ospite del Marchiori, Giuseppe Santomaso (1907-1990) andava in giro con una cartella di fogli bianchi e la scatola di grossi pastelli facendo schizzi di strumenti agricoli, scale, seghe, botti, ruote e tutto ciò che colpiva la sua fantasia. Il pittore trasformava gli oggetti in realtà poetica, ne estrapolava le linee e le forme, incantato dalla bellezza della loro essenzialità. Con Marchiori la casa dell’argine ha ospitato molti artisti del tempo. Oltre a Santomaso vennero qui Viani, Afro, Vedova e molti altri ancora. Tutti rimanevano incantati dalla bellezza della campagna di Sant’Urbano, dallo scorrere delle acque dell’Adige, dal profilo dei Colli Euganei che, nelle giornate luminose, si stagliavano contro il cielo.
Il Ponte delle Tre Canne, situato nel comune di Vighizzolo, ai confini con il comune di Sant’Urbano, nell’estremità occidentale della località Anconetta, fu realizzato intorno al 1563 per volontà del Magistrato alle acque della Repubblica di Venezia al fine di bonificare il “lago de Vigizuol” – il lago di Vighizzolo – che occupava tutta l’area circostante. Si tratta di una costruzione interamente in pietra che consente di convogliare le acque del Fratta attraverso tre grandi bocche a forma conica per farle defluire sotto il fiume Santa Caterina, che scorre sopra perpendicolarmente.
Contestualmente alla realizzazione del Ponte delle Tre Canne furono eseguite importanti opere di arginatura dei fiumi in modo da contenerne le acque all’interno degli alvei e prosciugare il lago di Vighizzolo bonificando la campagna. I territori di Vighizzolo e Sant’Urbano, infatti, erano nel passato, caratterizzati dalla presenza di un grande lago di formazione naturale poiché trattandosi di zone relativamente basse qui confluivano cinque canali. Nel 1558 la Repubblica di Venezia istituì la figura del Magistrato dei “Beni Incolti” e decise di rendere fruttifera tutta questa zona allora paludosa, realizzando il Ponte delle Tre Canne. Il prosciugamento dei terreni proseguì anche nei sei secoli successivi per essere ultimato nella parte sinistra del fiume Gorzone – a ovest della strada Tre Canne – dal Consorzio di Bonifica Cavariega di Este con l’importante impianto costruito negli anni 1920-21 in località Colonna.
Visibile tra via Laghetto, Sant’Urbano, e via Tre Canne, Vighizzolo d’Este